Qualora il medico ometta erroneamente di diagnosticare la patologia del feto, tale da impedire alla madre di interrompere volontariamente la gravidanza, il risarcimento del pregiudizio da nascita indesiderata può essere preteso anche dal padre, dal momento che anche quest’ultimo deve essere considerato come uno dei soggetti beneficiari delle norme a tutela del diritto alla procreazione cosciente e responsabile.

La fattispecie
Brevemente i fatti oggetto della sentenza in commento: una donna, rimasta, incinta aveva deciso con il coniuge, per ragioni di età, di procedere con l’interruzione della gravidanza. Procedendo all’intervento di raschiamento in una struttura sanitaria, questo non era stato correttamente eseguito, quindi la gravidanza era andata proseguita e, in seguito, non potendo più procedere all’interruzione della gravidanza perché superati i termini previsti dalla legge, era nata una bambina con evidenti problemi fisici. Entrambi i coniugi, quindi, avevano dovuto cambiare completamente il loro stile di vita. I giudici di primo grado, hanno rigettato la richiesta del risarcimento avanzata dal padre perché non era stato dimostrato, né che egli avesse osteggiato la gravidanza, né che anche la madre della bambina avesse espresso la sicura intenzione di abortire: non è così agevole, infatti, stabilire sino a che punto il medico, al momento in cui riceva dalla sola madre l’incarico di compiere degli accertamenti clinici sul feto, possa individuare nell’uomo una potenziale vittima delle sue ipotetiche inottemperanze, tanto più se il danno, nella specie, deriverebbe dall’impossibilità per la gestante di ricorrere all’aborto.

Il principio di diritto
La Corte di Cassazione, trovatasi a dirimere la questione, con sentenza n. 2675 del 2018, ha sostenuto che in tali circostanze, il risarcimento dei danni che risultano essere una conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento della struttura sanitaria all’obbligazione di natura contrattuale spetta non solo alla madre ma anche al padre, dal momento che l’insieme dei diritti e doveri che riguardano la procreazione cosciente e responsabile, non può ritenersi un soggetto estraneo il padre, il quale deve quindi essere annoverato tra i soggetti protetti e, conseguentemente, è tra coloro rispetto ai quali la prestazione mancata o inesatta e qualificabile come inadempimento, con il risultato che anche a questo spetterà il diritto al risarcimento dei danni, immediati e diretti, fra i quali deve ricomprendersi il pregiudizio di carattere patrimoniale derivante dai doveri di mantenimento dei genitori nei confronti dei figli».

Conclusioni
A questo orientamento maggioritario, si frappone un altro filone che sostiene la tesi contraria, cioè quella dell’esclusione del padre tra i soggetti aventi diritto a questa tipologia di risarcimento danni, dal momento che la legge assegna solo alla madre il diritto all’aborto, che l’aborto funzionale è una garanzia per la sola salute della donna e che  tra l’errore medico e la nascita (censurata come) indesiderata si frappone necessariamente la decisione della donna di abortire o di proseguire la gravidanza, la quale, risultando assolutamente dirimente per la verificazione dell’evento lesivo, interrompe drasticamente la sequenza causale. Tali critiche però sono state ritenute ininfluenti dalla giurisprudenza appena analizzata, dal momento che la violazione del diritto a ricevere le informazioni necessarie ad autodeterminarsi può generare effetti nocivi anche ai danni non solo della madre, ma anche di terzi, primo fra tutti il padre del nascituro.