Con questa recente pronuncia la Corte di Cassazione esamina un caso molto delicato, cioè quello che si presenta quando, nell’ambito di una vicenda di risarcimento del danno derivante da responsabilità medica, si ha a che fare con una cartella clinica che appare incompleta. In questi casi, a detta dei giudici supremi, si può procedere attraverso presunzioni, dovendo poi essere dovere della struttura sanitaria dimostrare di aver agito in conformità e senza responsabilità medica, andando a riempire quei vuoti della cartella clinica, che doveva essere aggiornata e ben tenuta dai sanitari stessi.

La fattispecie
I genitori di una bambina che era stata operata presso un ospedale di Torino hanno convenuto in giudizio la struttura unitamente ai due medici che avevano eseguito l’intervento al fine di ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali asseritamente derivanti dalla presunta non conformità ai criteri di diligenza professionale della condotta dei medici operanti, dalla quale sarebbe derivato un peggioramento delle condizioni di salute della figlia.

Il Tribunale di Torino e, successivamente, la Corte di Appello della medesima località hanno respinto le domande attoree in considerazione del mancato assolvimento dell’onere della prova del nesso eziologico tra le varie terapie alle quali era stata sottoposta la bambina e il peggioramento del suo quadro clinico.

Secondo i Giudici di merito, peraltro, tale mancato assolvimento era stato confermato anche dalla CTU espletata nel corso del giudizio di primo grado, all’esito della quale il consulente incaricato aveva riferito di non essere in grado di rispondere a nessuno degli articolati quesiti posti dal Giudice a causa dell’assenza di significativi riscontri documentali che valessero a orientare le indagini.

Il principio di diritto
La Suprema Corte, con la sentenza n. 7250 del 2018, ha infatti attribuito a dette omissioni un valore di nesso eziologico presunto, talvolta ravvisando altresì una figura sintomatica di inesatto adempimento.

Al riguardo, è stato precisato che la difettosa tenuta della documentazione medica consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei princìpi in ordine alla distribuzione dell’onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè l’effettiva possibilità per l’una o per l’altra parte di offrirla. In tale contesto la Corte ha quindi precisato che l’ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta una circostanza di fatto che il Giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l’esistenza di un valido nesso causale tra l’operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l’esistenza del nesso di causa tra la condotta del medico e il danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa dell’incompletezza della cartella; dall’altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova.

Conclusioni
In conclusione, dall’arresto della Corte Suprema che si pone in un’ottica di continuità con il prevalente orientamento dei giudici di legittimità, si evince che, in ossequio al principio della vicinanza della prova, la difettosa e imprecisa tenuta della cartella clinica si traduce in un rischio per il medico che comporta conseguenze sia in termini di responsabilità civile sia penale. Infatti, le eventuali irregolarità rilevate nella gestione della cartella clinica e l’assenza di ulteriori riscontri probatori in relazione all’esito infausto verificatosi, non solo non valgono a escludere il nesso causale e la colpevolezza della condotta del sanitario, ma consentono di ritenerli accertati mediante il ricorso a presunzioni. In altri termini, in presenza di un inesatto adempimento del sanitario, consistito nella difettosa tenuta della cartella clinica, l’eventuale esito infausto che ne deriva si addebita iuris et de iure all’incompletezza della stessa, purché il comportamento adottato dal sanitario sia idoneo in astratto a cagionare il danno verificatosi.