Il danno c.d. catastrofale consiste nello stato di sofferenza spirituale od intima patito dalla vittima nell’assistere al progressivo svolgimento della propria condizione esistenziale verso il fine-vita e quindi nella sua consapevolezza del fatto che la sua morte si stia lentamente avvicinando.

In tale sentenza vediamo come i giudici hanno liquidato tale danno, risarcibile sempre in via equitativa, non essendoci delle tabelle di riferimento ad oggettivizzare l’ammontare del risarcimento.

La fattispecie

Non sono bastate due sentenze di Corte d’Appello, ce ne vorrà almeno una terza.

Quel che è peggio, l’errore in cui è incorsa la Corte territoriale nel secondo giudizio d’appello è infatti lo stesso in cui era incorsa in occasione del primo.

Nel primo caso, con decisione cassata dalla pronuncia n. 13198/2015, la Corte d’Appello aveva infatti liquidato in € 1000 il danno cosiddetto “terminale o catastrofale” patito da un diciassettenne rimasto vittima di un incidente stradale e politraumatizzato, per i tre giorni di sopravvivenza prima della morte.

La Corte di legittimità aveva annullato la sentenza di appello per l’irrisorietà delle somme liquidate.

Nel nuovo giudizio d’appello è stata ritenuta, dai Giudici del rinvio, congrua la somma di euro 2500 al giorno, per un totale quindi di euro 7500. In tale liquidazione era inclusa sia la componente di danno biologico terminale, nella misura massima tabellare di euro 144 al giorno, per invalidità temporanea totale, e sia il risarcimento del danno catastrofe propriamente inteso, per la restante gran parte della somma liquidata.

I genitori del ragazzo, non ritenendo congrua tale liquidazione, hanno proposto ricorso per la cassazione della sentenza.

Il principio di diritto

La Terza Sezione di Cassazione, con sentenza n. 16592 del 2019, ha accolto il ricorso decretando quindi la necessità di una terza pronuncia da parte della Corte d’Appello, ritenendo anche in questo caso la liquidazione del danno effettuata dal Giudice del rinvio non conforme ai principi affermati dalla cassazione in sede rescindente, peraltro corrispondenti a molti precedenti in materia di liquidazione del danno temporaneo, secondo cui il danno catastrofale, se pure temporaneo, «è massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte». Di conseguenza necessita di «fattori di personalizzazione» una simile sofferenza e va invece esclusa una liquidazione effettuata attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti tabelle generalmente predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti che siano, di soggetti che sopravvivono all’evento dannoso».

La Terza Sezione della Cassazione ha altresì precisato che «il danno catastrofale è comprensivo sia di un danno biologico da invalidità temporanea totale (sempre presente e che si protrae dalla data dell’evento lesivo fino a quella del decesso) sia di una componente di sofferenza interiore psichica di massimo livello (danno catastrofale), correlata alla consapevolezza dell’approssimarsi della fine della vita, che deve essere misurata secondo criteri di proporzionalità e di equità che tengano conto della sua particolare rilevanza ed entità».

Nel caso di specie hanno errato i Giudici di merito a ritenere presumibile la insussistenza di una completa lucida consapevolezza dell’approssimarsi del fine vita da parte dell’adolescente laddove un diverso giudizio (che doveva quindi essere tenuto come punto fermo!) era già stato formulato nella precedente pronuncia della Corte di Cassazione, che aveva ritenuto invece sussistere tale consapevolezza nell’arco dei tre giorni in cui egli era rimasto in vita, già valutando come irrisoria la pregressa valutazione svolta dalla Corte territoriale.

La Cassazione ha dunque ritenuto viziato sin dall’origine il giudizio di congruità espresso dalla Corte d’appello che risiedeva su una valutazione di minore intensità del danno da sofferenza psichica catastrofale che era già preclusa in virtù delle di costume espresso dalla Corte di Cassazione in sede rescindente.

Conclusioni

Tale pronuncia appare preziosissima per noi operatori pratici, poiché ci indica – finalmente – dei criteri più chiari per poter procedere ad una concreta quantificazione di tale voce di danno, la cui natura rende molto difficile una sua liquidazione precisa, mancando del tutto nella giurisprudenza e nella legge un sistema tabellare o degli indici precisi che possano monetizzare tale danno.

AVV. Francesco Cecconi