Secondo una recente pronuncia della Suprema Corte, nelle cause afferenti la materia della responsabilità professionale medica, occorre tenere distinti due ‘cicli cusali’. Vediamo quindi di fare chiarezza sul punto.

L’ordinanza numero 25288/2020 della Corte di cassazione, opera una distinzione netta con riferimento alla causalità nella responsabilità medica.

Secondo i Giudici, infatti, vi è un ciclo causale c.d. ‘a monte’, il quale non va confuso con quello ‘a valle’. Il ciclo a monte è quello relativo all’evento dannoso e alla sua derivazione causale e la sua prova deve essere fornita dal creditore danneggiato, il quale è tenuto a produrla sulla base del criterio della “preponderanza dell’evidenza”, quindi la sussistenza del nesso causale deve essere verificata “riconducendone il grado di fondatezza nell’ambito degli elementi di conferma (e nel contempo di esclusione di altri possibili alternativi) disponibili in relazione al caso concreto (c.d. probabilità logica o baconiana)”.
Il ciclo a valle, invece, segue quello a monte e riguarda la possibilità o meno di adempiere. Esso prevede che il debitore/danneggiante possa dimostrare che la prestazione dovuta sia stata resa impossibile da una causa imprevedibile e inevitabile.

Alla luce di quanto sopra, concludono i Giudici della Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 25288/2020, i due cicli causali non possono essere unificati.

Nel caso esaminato, ad esempio, il giudice del merito, dopo aver ritenuto che il nesso materiale fosse provato, aveva condannato una struttura sanitaria e un medico, in solido, a risarcire il paziente, senza interrogarsi se dalla struttura sanitaria si sarebbe potuto esigere un comportamento differente.

Questo ragionamento giuridico, posto in essere dai giudici di merito, non è altro che un’arbitraria unificazione dei due cicli che non può portare che alla cassazione della relativa pronuncia.