La Legge n. 24/2017 (c.d Legge Gelli), la quale, in tema di responsabilità medica, rimanda sia ad una responsabilità contrattuale e sia ad una extra – contrattuale. Il Tribunale di Crotone, con la sentenza in commento (n. 577 del 2020), è intervenuto per rimarcare distinzioni e confini delle due responsabilità.

I fatti 

Il coniuge di un paziente deceduto per le complicazioni sorte in seguito ad in intervento di protesi dell’anca, effettuata presso un ospedale di Crotone, invocava la responsabilità della struttura e del chirurgo ortopedico che aveva eseguito l’operazione, accusando i convenuti di responsabilità nell’esecuzione dell’intervento e di aver dimesso il paziente in modo frettoloso e superficiale. Quest’ultimo, infatti, non aveva ricevuto le cure necessarie per debellare la grave infezione post operatoria che aveva contratto in occasione dell’intervento all’anca e, pertanto, decedeva.

Il coniuge, chiedeva quindi al Giudice l’accertamento della responsabilità solidale della struttura e del chirurgo ed un risarcimento complessivo di circa 390.000 euro, oltre alle spese.

I convenuti, costituendosi, chiedevano il rigetto della domanda, mentre l’assicurazione del medico chirurgo, dallo stesso chiamata in causa, chiedeva di rigettare la domanda di risarcimento avanzata dalla vedova e, in via subordinata, nella denegata ipotesi di ritenuta responsabilità professionale del chirurgo, di accertare a quali convenuti la stessa fosse addebitabile, determinando l’eventuale grado delle rispettive colpe nel causare il danno.

In surroga dei diritti del medico, infine, l’assicuratore chiedeva che venisse dichiarata la responsabilità risarcitoria esclusiva della struttura sanitaria, spettando quindi al medico di essere tenuto indenne dal proprio datore di lavoro, o dalla relativa compagnia assicurativa, che avrebbe operato in primo rischio anche a favore dei sanitari.

La decisione del Tribunale 

Il rilievo mosso in prima battuta dalla Corte riguarda il fatto che la parte attrice abbia invocato la natura contrattuale della responsabilità dei convenuti.

È pur vero che in base all’articolo 7 della Legge Gelli, la responsabilità medica viene generalmente individuata come contrattuale. Il Tribunale, tuttavia, osserva come tale natura si riferisca al rapporto che si instaura tra il paziente e la casa di cura o l’ospedale.

La responsabilità della casa di cura nei confronti del paziente ha dunque natura contrattuale e deriva non solo dall’inadempimento delle obbligazioni a suo carico, ma anche dall’inosservanza della prestazione medico-professionale svolta dai sanitari che operano al suo interno (gli stessi sono infatti suoi ausiliari necessari).

Tuttavia, nella fattispecie in esame, l’azione della parte attrice, finalizzata al ristoro dei danni patiti iure proprio, deve essere in questo caso ricondotta alla responsabilità extracontrattuale.

Come più volte rimarcato in giurisprudenza, la vittima secondaria non può in alcun modo considerarsi legata da un rapporto contrattuale, né con la struttura sanitaria e nemmeno col personale medico di quest’ultima e quindi, ne consegue un diverso regime di distribuzione dell’onere della prova.

Se si fosse trattato di una responsabilità di natura contrattuale, infatti, il congiunto della vittima avrebbe potuto limitarsi ad allegare “un inadempimento qualificato, ovvero astrattamente idoneo alla produzione dell’evento dannoso”. In questo caso, sarebbe gravato sulla struttura e sul medico l’onere di provare che l’inadempimento non sussisteva o che fosse dipeso da cause ad essi non imputabili.

Nel caso in esame, invece, l’allegazione avrebbe dovuto essere non solo tempestiva, ma soprattutto specifica (indicando la regola di perizia che si considerava violata)

Il principio espresso dai Giudici

Resta quindi all’attore l’obbligo di chiarire l’oggetto della contestazione, indicando la regola di perizia che si considerava violata, i criteri adottati per la sua individuazione e le ragioni tecniche ed oggettivamente valutabili che avrebbero dovuto indurre il sanitario a disattendere le leges artis, in quanto inadeguate per il caso concreto.

Un altro rilievo fondamentale risiede nel fatto che la dimostrazione del danno, a prescindere dalla natura – contrattuale o extracontrattuale – della responsabilità invocata, resta comunque a carico del danneggiato.

Tutto ciò premesso, la Corte di Crotone ha ritenuto inammissibili le doglianze degli attori in merito all’essere prevedibile ed evitabile l’infezione nosocomiale contratta dalla vittima. Le stesse venivano infatti dedotte esclusivamente in sede di CTU e mai contestate.

Le sole censure avanzate tempestivamente riguardavano l’errata esecuzione del primo intervento nel 2003, le frettolose dimissioni in seguito al secondo intervento eseguito nel 2009, senza che il paziente fosse indirizzato ad un centro specializzato che ne avrebbe potuto garantire la sopravvivenza, ed il terzo impianto di una nuova protesi nel 2011, senza che fosse stata accertata la guarigione dall’infezione.

Tutte censure non corroborate da prove, come consulenze di parte, che avrebbero potuto rendere specifiche le contestazioni avanzate, indicando ad esempio le linee guida ed i criteri di condotta cui i sanitari avrebbero dovuto attenersi nell’affrontare lo specifico caso clinico.

In pratica, cioè, la parte attrice si sarebbe solo lagnata “della negligenza, imprudenza, imperizia dei sanitari operanti”, devolvendo integralmente al CTU il compito di accertare l’errore diagnostico, terapeutico e chirurgico, nonché la causa nosocomiale dell’infezione, ed attribuendo al consulente d’ufficio un “ruolo integralmente sostitutivo degli oneri assertivi e probatori delle parti”.

La Corte riteneva quindi generica la contestazione relativa all’errore nell’esecuzione del primo intervento ed insufficiente ad addebitare ai sanitari alcuna responsabilità. Allo stesso modo, non essendo stato indicato il fondamento medico legale che rendeva obbligatorio il ricovero presso un centro specializzato, veniva respinta la censura relativa alle dimissioni troppo frettolose in occasione del secondo intervento.

Non essendo poi fondata su “alcuna allegazione scientifica plausibile idonea a giustificare l’addebito di una responsabilità ai sanitari”, veniva poi respinta anche l’ultima allegazione, essendo stato il paziente dimesso con terapia antibiotica congrua e sottoposto ad accertamenti e terapie congrue, secondo i protocolli relativi alla diagnosi dell’infezione riscontrata.

La domanda attorea è stata quindi rigettata.

Conclusioni

La questione della corretta attribuzione della natura della responsabilità medica, non è certo di scarso rilievo e chiara, anche in giurisprudenza.

Questo argomento, lo si ritrova in tutta l’intera Legge Gelli, la quale si è posta come necessaria risposta a moltissime decisioni delle corti di ogni grado, al termine di un lunghissimo iter giuridico e normativo.

La decisione in esame, però, compie un passo importante, determinando con chiarezza le conseguenze pratiche di una corretta allocazione della natura della responsabilità medica, in relazione ai protagonisti che operano sulla scena individuata dal procedimento giuridico.