Secondo quanto affermato recentemente dai giudici della Corte di Cassazione, il giudice, nella liquidazione equitativa prevista dalle tabelle milanesi, può (e deve) superare i limiti degli ordinari parametri ivi previsti quando la specifica situazione di danno è caratterizzata dalla presenza di circostanze di cui il parametro tabellare non può aver già tenuto conto.

La fattispecie

Ricorreva in giudizio presso la Suprema Corte un uomo il quale lamentava l’erroneità della sentenza della competente Corte d’Appello la quale aveva respinto il riesame avverso la pronuncia del tribunale che aveva condannato la propria controparte al pagamento di oltre € 20.000,00, quale ristoro del danno non patrimoniale dal medesimo subìto a causa di un morso di ‘selvaggia ferocia’ all’orecchio sinistro che anni addietro, nel corso di un diverbio accesosi durante una partita amatoriale di calcio, gli era stato dato dal convenuto, morso talmente violento da provocare al malcapitato il distacco parziale del lobo superiore sinistro.

Il ricorso alla Suprema Corte avviene con deduzione di un unico motivo e, precisamente, del vizio di violazione di legge poiché i giudici di merito nel liquidare il danno alla persona -secondo la tesi del ricorrente – non avrebbero correttamente valutato il danno morale ed esistenziale che ne è conseguito, avendo valutato il danno biologico indicato nelle tabelle milanesi, le quali inglobano il danno morale entro una certa misura media, tenendo conto della media degli eventi che provocano le dette lesioni, mentre al contrario gli stessi avrebbero dovuto valutare il particolare disagio in termini di ansia, sofferenze psichiche e senso di prostrazione conseguenti all’aggressione ed alla mutilazione subìta in giovane età, che aveva cambiato profondamente la capacità del leso di relazionarsi con gli altri, tutti elementi provati mediante testimonianze rese in corso di giudizio.

Il principio di diritto

La Suprema Corte in proposito conferma, con la sentenza 32787 del 2019, prima di tutto, la bontà dell’orientamento che fino ad oggi ha ritenuto che nella liquidazione del danno non patrimoniale, in difetto di diverse previsioni normative, e salvo che ricorrano circostanze affatto peculiari, sia condivisibile il ricorso ai parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano.

Tuttavia – continuano gli Ermellini – è altresì condivisibile il fatto che il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, tenendo conto della percentuale media considerata di danno morale, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza delle peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (e più ricca) considerazione in termini monetari.

Tutto ciò premesso, gli Ermellini osservano che nel caso di specie il tribunale – nell’applicare le tabelle milanesi – ha liquidato il danno alla persona con il metodo cd. tabellare in relazione a un baréme medico-legale del 10% che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ‘ordinarie’ che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona, sull’assunto che esso possa essere incrementato in via di personalizzazione in presenza di circostanze specifiche ed eccezionali che, nel caso di specie, sono state tempestivamente allegate e provate dal danneggiato e che rendono evidente che il danno subìto sia più grave rispetto alle conseguenze ordinariamente derivanti da lesioni personali dello stesso grado, sofferte da persone della stessa età e condizione di salute.

Conclusioni

Sulla scorta di tutte queste osservazioni, effettivamente risultanti dal materiale probatorio, la Suprema Corte accoglie il ricorso, cassando la pronuncia della Corte d’Appello competente e rinviandola alla stessa.

Per la Suprema Corte, in conclusione, la valutazione è risultata stereotipata nonché frutto di un automatismo risarcitorio non voluto neanche dal legislatore che, pertanto, alla luce dei suddetti criteri deve essere diversamente svolta, dovendo risultare nella motivazione ‘se’ e ‘come’ il giudice abbia considerato tutte le circostanze del caso concreto per assicurare un integrale risarcimento del pregiudizio subito dal danneggiato.

Avvocato Francesco Cecconi