Come per il danno da emotrasfusioni, anche per il danno da somministrazione di un farmaco senza adeguati controlli sulle potenzialità di produrre effetti collaterali dannosi per la salute vale il principio per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, non dal giorno in cui il soggetto riceve il danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita dal medesimo o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze. Questo è il principio di diritto  richiamato e fatto proprio dalla Corte di cassazione, Sezione VI Civile, con l’ordinanza del 3 giugno 2020, n. 10515.

La vicenda 

La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la Corte d’Appello di Firenze, con la sentenza n. 1386 del 2018, in accoglimento dell’appello del Ministero della Salute, rigettava la domanda proposta da una donna per risarcimento dei danni riportati alla nascita – allorché risultava affetta da chelognapalatoschisi bilaterale ed ipertelorismo – a causa della somministrazione, alla madre gestante, di un farmaco contenente talidomide immesso in commercio senza i dovuti esami e controlli, per essersi il relativo diritto estinto per prescrizione. Avverso la decisione d’appello la donna proponeva ricorso per la cassazione basato su due motivi.

La ricorrente, si lamentava del fatto che la Corte d’appello aveva applicato per i c.d. danni lungolatenti il criterio di individuazione del dies a quo di decorrenza del termine di prescrizione della domanda di risarcimento dei danni con riferimento al momento di conoscenza della patologia e non di conoscenza della riconducibilità causale di tale evento dannoso alla sua causa.

La ricorrente evidenziava che è risultata affetta dalla nascita da una patologia altamente invalidante, per la quale ha subito diverse operazioni di ricostruzione del palato ed è costretta a portare protesi dentarie necessitanti di periodica sostituzione, e che la conoscenza del fatto che la madre, durante la gravidanza, aveva assunto una terapia sedativa a base di sedimide (talidomide), di per sé, non le aveva fornito alcun elemento per poter ricondurre l’insorgere di tale patologia alla somministrazione di quel determinato farmaco alla madre durante la gestazione.

Il principio di diritto 

La Suprema Corte ha osservato che, «come per il danno da emotrasfusioni, anche per il danno da somministrazione di un farmaco senza adeguati controlli sulle potenzialità di produrre effetti collaterali dannosi per la salute (farmaco sedimide, contenente talidomide) vale il principio per cui il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno da parte di chi assume di aver contratto per contagio (sia esso da emotrasfusioni o da somministrazione di un farmaco rivelatosi nocivo) una malattia per fatto doloso o colposo di un terzo decorre, a norma degli artt. 2935 e 2947, comma 1, c.c., non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita, quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche da apprezzarsi in riferimento al sanitario o alla struttura sanitaria cui si è rivolto il paziente, dovendosi accertare se siano state fornite informazioni atte a consentire all’interessato il collegamento con la causa della patologia o se lo stesso sia stato quanto meno posto in condizione di assumere tali conoscenze».

L’affermazione della Corte d’appello, secondo la quale nel momento stesso in cui la ricorrente apprese che alla madre era stato somministrato il farmaco indagato in gravidanza, la stessa fosse in grado, o avrebbe dovuto essere in grado, senza disporre di altra informazione o conoscenza specifica, di tracciare la catena di riconducibilità casuale tra la somministrazione del farmaco alla madre e le alterazioni fisiche permanenti che ella stessa presentava alla nascita, non fa buon governo di tale principio.

Conclusioni

Sentenza quindi storica quella in commento, poiché attraverso il principio ivi affermato, la decorrenza del termine di prescrizione per la domanda di indennizzo viene fatto decorrere solamente da quando il soggetto ha (o può avere) contezza della malattia e dei danni che essa causa.